Ho chiuso le ante. Ho spento il telefono. E il computer. Poi mi son chiesta com'è leggere un libro a lume di candela e ho spento anche l'abat-jour.
E da qui mi è venuta una voglia tremenda di passare qualche tempo in una baita, senza corrente, senza tecnologia, senza diavolerie.
E capire cosa si prova a vivere al naturale, come 50 anni fa. Sentire la pioggia sopra la lamiera, aspettare l'odore del caffè alla mattina, gustarsi una bella tazza di latte appena munto, guardare tuo nonno falciare il fieno e dargli una mano a scantigare. Farsi un giro nel bosco, conoscere le piante, i fiori, le erbe, e trattarle con cura. Accudire delle mucche, qualche capra, le galline e poi la sera andare a cavallo e fregarsene degli orari, della notte che scende, dei soldi da guadagnare, delle cose da fare, da correre, da inseguire sempre, per forza. E vivere. Semplicemente. Respirare. Aspettare le stelle e gustarsi il silenzio. Respirare la calma. E addormentarsi sereno. Credere che le persone sono più importanti delle cose. E accontentarsi di poco (?), di aria, di cielo, e di prati, e di animali. E di niente. Ma in fondo sono vissuti tutti così no?
Forse non resisterei. Forse siamo abiutati a tutto e non sappiamo/possiamo/vogliamo più tornare indietro.
Ma questo è il desierio che ho provato in malga in Val delle Mine l'altro giovedì, quando un ragazzo di 14 anni che ha scelto questa vita mi ha detto: "vedi qua la tele non ce l'abbiamo e neanche la playstation tanto ci divertiamo a giocare tra di noi e poi dobbiamo curare gli animali".
Questa è la vita che non ho mai fatto, che ho conosciuto poco e che ho visto solo nei ricordi tristi di chi me la racconta un pezzo alla volta ogni giorno.
Questo è il sogno nel cassetto.
Questa è la voglia di tornare a camminare, anzichè voler correre per forza, ma senza sapere dove vogliamo arrivare.
E da qui mi è venuta una voglia tremenda di passare qualche tempo in una baita, senza corrente, senza tecnologia, senza diavolerie.
E capire cosa si prova a vivere al naturale, come 50 anni fa. Sentire la pioggia sopra la lamiera, aspettare l'odore del caffè alla mattina, gustarsi una bella tazza di latte appena munto, guardare tuo nonno falciare il fieno e dargli una mano a scantigare. Farsi un giro nel bosco, conoscere le piante, i fiori, le erbe, e trattarle con cura. Accudire delle mucche, qualche capra, le galline e poi la sera andare a cavallo e fregarsene degli orari, della notte che scende, dei soldi da guadagnare, delle cose da fare, da correre, da inseguire sempre, per forza. E vivere. Semplicemente. Respirare. Aspettare le stelle e gustarsi il silenzio. Respirare la calma. E addormentarsi sereno. Credere che le persone sono più importanti delle cose. E accontentarsi di poco (?), di aria, di cielo, e di prati, e di animali. E di niente. Ma in fondo sono vissuti tutti così no?
Forse non resisterei. Forse siamo abiutati a tutto e non sappiamo/possiamo/vogliamo più tornare indietro.
Ma questo è il desierio che ho provato in malga in Val delle Mine l'altro giovedì, quando un ragazzo di 14 anni che ha scelto questa vita mi ha detto: "vedi qua la tele non ce l'abbiamo e neanche la playstation tanto ci divertiamo a giocare tra di noi e poi dobbiamo curare gli animali".
Questa è la vita che non ho mai fatto, che ho conosciuto poco e che ho visto solo nei ricordi tristi di chi me la racconta un pezzo alla volta ogni giorno.
Questo è il sogno nel cassetto.
Questa è la voglia di tornare a camminare, anzichè voler correre per forza, ma senza sapere dove vogliamo arrivare.
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